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In un momento come quello degli anni Sessanta del ’900, in cui l’arte si era guadagnata la reputazione di essere elitaria ed esclusiva e non era percepita come qualcosa di accessibile a tutti, nascono i periodici d’arte S.M.S. (Shit Must Stop). Progetto congiunto di William Copley e dell’amico Dimitri Petrov, i portfolio S.M.S. cercavano di riequilibrare l’accesso all’arte da parte del pubblico mettendo in discussione gli oggetti d'arte come appannaggio esclusivo di musei e gallerie, rendendoli alla portata di tutti coloro che ne avrebbero fatto richiesta tramite abbonamento.
Ispirato alla Boîte-en-valise di Marcel Duchamp, amico e mentore di Copley, il progetto S.M.S. avrebbe presentato fianco a fianco opere di artisti famosi e meno conosciuti. La collezione si compone di sei edizioni uscite nel corso del 1968, per le quali era possibile sottoscrivere un abbonamento di 125$. Ogni portfolio contiene 12-13 opere create dagli artisti più influenti del periodo e presenta molti legami con il movimento dada, il surrealismo e la pop art. Include fotografie, musica, disegni, lettere, testi di vario genere e molto altro, una sorta di wunderkammer creativa con opere pronte per essere assemblate secondo le indicazioni degli stessi artisti, cosa che consentiva all’abbonato di interagire con gli artisti e le loro opere.
Sono stati all’incirca 100 gli artisti che hanno contribuito alla realizzazione di S.M.S., fra i quali Meret Oppenheim, Yoko Ono, Bruce Nauman, H.C. Westermann, Claes Oldenburg, Roy Lichtenstein, Terry Riley, La Monte Young, Enrico Baj, Hollis Frampton, Lee Lozano, Ray Johnson, Joseph Kosuth, Diane Wakoski, Mel Ramos e Hannah Weiner. Tutti hanno ricevuto il medesimo compenso di 100$ per la relizzazione dell’opera originale che venne duplicata in 2000 copie e pubblicat da The Letter Edged in Black Press, casa editrice di proprietà di Copley.
Questo progetto trasse ispirazione anche dal movimento Fluxus che incoraggiava gli artisti a unirsi in una sorta di protesta nei confronti delle gallerie che rivendicavano l’autorità di stabilire il valore delle opere d’arte. In questo tentativo di riunire gli artisti al di fuori dell’establishment c’era lo sforzo di voler presentar direttamente gli artisti al pubblico, senza passare per le gallerie.